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titina

La amavo con abbandono assoluto. (…) Tutte le altre case (poche del resto, a parte gli alberghi) sono state dei tetti  che hanno servito per ripararmi dalla pioggia e dal sole, ma non delle CASE nel senso arcaico e venerabile della parola. (…) Tutto mi piace in essa: l’asimmetria dei suoi muri, la quantità dei suoi saloni, gli stucchi dei suoi soffitti, il cattivo odore della cucina dei miei nonni, il profumo di violetta nella stanza di toletta di mia Madre, l’afa delle sue scuderie, la buona sensazione di cuoi puliti della selleria, il mistero di certi appartamenti non finiti al secondo piano, l’immenso locale della rimessa nella quale si conservavano le carrozze; tutto un mondo pieno di gentili misteri, di sorprese sempre rinnovate e sempre tenere. Ne ero il padrone assoluto e di corsa ne percorrevo continuamente i vasti spazi

G. Tomasi di Lampedusa “I Racconti” Feltrinelli

C’è quasi sempre un briciolo di nostalgia quando pensiamo alla casa che abitavamo da piccoli. Non importa che fosse al quarto piano senza ascensore, che non avesse il riscaldamento, che fosse la casa dove mai abbiamo avuto una stanza “nostra”, dove forse anche ha abitato la povertà o il disagio. Perché che la nostra dimora fosse fastosa oppure un semplice appartamento di una periferia, essa ci rimanda comunque alla protezione vissuta in quel luogo preciso, all’immagine di una unione, di un grembo.

Probabilmente, a parte il senso di protezione della casa natale, le si attribuiscono valori di sogno, gli ultimi valori che rimangono quando la casa non c’è più.

Si ricorda l’angolo dove ci mettevamo a giocare o a leggere o a nasconderci o ad annoiarci a morte.  E’ la casa della memoria, è la casa dell’infanzia, è la prima casa, la casa “unica” per noi. Il filosofo Gaston Bachelard dice: “La casa natale è qualcosa di più di un insieme di alloggi, è un corpus di sogni.” E continua: “La casa natale ha inciso in noi la gerarchia delle diverse funzioni di abitare. Noi siamo il diagramma delle funzioni di abitare quella casa e tutte le altre case non sono che variazioni di un tema fondamentale. La parola abitudine è una parola abusata troppo per poter indicare il legame appassionato del nostro corpo che non dimentica la casa indimenticabile.”

immagini della casa che ricordiamo

Non è solo il nostro essere bambini in quella casa, non è soltanto ricordare l’atmosfera della famiglia che adesso non c’è più. E’ anche un ricordo vivo delle mura della casa.

Il corridoio lungo dove si affacciavano tutte le stanze

La cucina col tavolo anche sotto alla finestra

Il tavolo col piano di formica screziata di bianco

La tendina della finestra sulla  piccola corte

Il ripostiglio con l’odore di cera

Le finestre da cui si vedevano le colline

Il riflesso del lampadario di cristallo nello specchio dorato

Le piastrelle del bagno con i disegni che diventavano qualcosa che volevi come le nuvole

La ciotola di argento con le palline di lacca rossa che si potevano svitare

La poltroncina di velluto blu dove la nonna lavorava all’uncinetto

L’armadio dove si nascondevano le tavolette di cioccolata

Il punto preciso della cucina dove era appesa la gabbia dei pappagallini

Il divano rosso scuro del salotto “buono”

Il tavolo laccato lucido che si apriva a libro

Il copriletto a quadri rosso e nero per l’estate e di quello di lana ruvida per l’inverno

Il terrazzo stretto dal quale vedere la strada e la vita tranquilla che si svolgeva  fuori.

Ti racconto una cosa di me. Scritture e fotografie da collezioni private

Palermo, 24 settembre | 13 ottobre 2012
Palazzo Chiaramonte-Steri, Sala Verifiche
orari: da lunedì a sabato: 16.00 – 20.00 | domenica: 10.00 – 13.00

Si è inaugurata ieri a Palermo la mostra organizzata a margine del convegno Al di là dei limiti della rappresentazione (Palermo, 24 | 26 settembre 2012)

“Abbiamo chiesto ad una trentina di scrittori italiani di regalarci un’immagine fotografica appartenente al loro album di famiglia, al loro cassetto della memoria, e di commentarla in maniera narrativa, poetica, o anche soltanto didascalica. Gli autori hanno risposto al nostro invito con entusiasmo e generosità, lasciandoci entrare nel loro privato, mettendoci a disposizione scatti personali e commentandoli con le parole della memoria, colorate, a volte, di nostalgia.
Si tratta, nella maggior parte dei casi, di fotografie che giacevano sepolte in qualche cassetto, ritrovate dentro vecchie scatole; fotografie non professionali, a bassa definizione, per questo spesso non soddisfacenti dal punto di vista estetico, ma che proprio per la loro imperfezione hanno la capacità di fare emergere le storie che si portano dentro, permettendo al tempo stesso a chi le osserva di condividere quanto raffigurano. Accompagnate dalle parole di chi, scegliendole, non ha inteso tanto ritrovare il passato, quanto, semmai, la sua stessa possibilità, queste fotografie ci toccano, ci feriscono, ci pungono, ci trasportano nel tempo e nello spazio, nelle vite e nei sogni degli altri.”

 

Mostra a cura di Michele Cometa e Valentina Mignano

Allestimento e progetto grafico: Joselita Ciaravino e Fausto Gristina

Testi: Roberto Alajmo, Silvia Albertazzi, Bruno Arpaia, Marco Baliani, Luigi Bernardi, Viorel Boldis, Enrico Brizzi, Pino Cacucci, Giuseppe Ciarallo, Emidio Clementi, Maria Rosa Cutrufelli, Christiana De Caldas Brito, Franco Foschi, Licia Giaquinto, Kossi Komla-Ebri, Loredana Lipperini, Milena Magnani, Gianfranco Manfredi, Maurizio Matrone, Giulio Mozzi, Gianfranco Nerozzi, Enrico Palandri, Giampiero Rigosi, Massimo Vaggi, Giorgio Vasta, Grazia Verasani, Nino Vetri, Simona Vinci, Ornela Vorpsi, Paolo Zanotti.

Fotografie: Sveva Balsamo, Antonio Bottazzo, Stefano Calanchi, Francesco Monti, Alessandro Schinco, Lotta Valente

Catalogo della mostra a cura Ivana Margarese e Giorgia Tolfo, Edizioni di passaggio, Palermo

“Altro da cose”. Visto a Modena durante il Festival Filosofia che quest’anno era sulle COSE. Il progetto è dell’artista Claudia Losi ed il pubblico è invitato a portare una cosa legata al proprio vissuto ritenuta significativa per i ricordi e gli affetti che evoca.

Nella grande stanza raggiunta attraverso il percorso all’interno del bellissimo Museo Etnografico (segnalato da oggetti disegnati applicati sul pavimento) sono in mostra lungo due pareti i piccoli oggetti significativi che ognuno ha portato: un mazzo di chiavi, una bottiglia, un libro, un origami, una scatola, una tazza… mentre su una parete sono attaccati sul muro le immagini di questi oggetti sopra una semplice scheda con scritta la motivazione.  Fino al 18 novembre, MuseiCivici Modena

 

Vi raccontiamo le CHIAVI DI CLOTILDE, di Donatella

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Questo mazzo di chiavi mi parla delle mani di mia madre bellissime e sottili che la vecchaia aveva rispettato. Mi apre squarci di vissuti: conflitti tra noi due, continui tentativi di affronatrli e di risolverli in modo creativo, un faticoso corpo a corpo con la depressione di cui mia madre soffriva da lungo tempo.
Quando abitava in via Bertiera, nel centro di Bologna, vicino a casa mia, mia madre perdeva spesso le chiavi. Per questo ne tenevo un mazzo di scorta. E’ vissuta nell’appartamento di via Bertiera circa dieci anni, dopo aver abitato a Trento con mia sorella, e ha passato gli ultimi anni della sua vita nella stessa casa in cui abito io. Queste chiavi mi parlano anche dei suoi tentativi coraggiosi nell’affrontare la paura della solitudine e del cercare nuove strade per convivere con la sua profonda malinconia.

La richiesta di Claudia restituisce a questo oggetto tutta la sua carica emozionale e lo fa rivivere, trasformandolo in un oggetto narrante.

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