Archivio degli articoli con tag: Paola Navone

img     img

binder2

binder1

LABORATORIO DI IDEE

di Lilli Bacci / fotografie di Enrico Conti

La casa di Paola Navone nasce durante i mille lavori percorsi su tutti i fronti -hotel, case, allestimenti, eventi, negozi, design, decori…- e in qualche modo raccoglie in una sintesi tutte le sue performance e il suo senso del vivere i luoghi. È come se il suo spazio fosse il laboratorio in cui nascono le idee. Non a caso -tra l’altro- la casa è al piano superiore dell’area post industriale che accoglie il suo studio -lo studio OTTO- dove lavora con il suo fantastico team. Lì si produce ciò che sboccia dalla fervida mente di Paola e dal suo modo di abitare, si cerca di dare forma ai suoi appunti su sensazioni, colori, forme, superfici, impressioni raccolte dal suo continuo viaggiare, dal suo essere sempre in transito: « Il viaggio è diventato il mio modo di respirare, non importa quanto lontano. Viaggio inteso come forma di pensiero. Come modo di essere. Come occhio nomade che non smette mai di guardare, di stupirsi e di creare connessioni tra le cose più diverse. » -dice come suo mantra Paola- «un’esperienza totale, dove accumulo immagini che finiscono nel bidone della mia testa. E da lì, all’improvviso, tiro fuori qualcosa. Sono una nomade che ama mettere radici in tanti luoghi» dice di sé. E i luoghi dove le sue radici hanno attecchito un po’ più in profondità sono Parigi e Milano. Da pochi mesi hanno attecchito in un grande cortile della Milano industriale condiviso con officine e laboratori dove è nata la sua nuova casa studio. Per raggiungere l’ingresso si cammina attraverso un rigoglioso “bidongarden”. Un giardino anarchico e post industriale di erbe, rampicanti e arbusti cresciuto in bidoni di colore blu indaco che da solo sboccia, appassisce, rinasce e a volte si autosemina.

Sotto c’è lo studio che non ha perso la sua bellissima aria di opificio.

Sopra la casa. Tetto in lamiera ondulata. Muri grezzi. Pavimenti fatti di sassi. Grandi vetrate. Un soppalco affacciato su terrazzi-orti dove Paola “colleziona” piante aromatiche e fiori colorati “purché si mangino”.

Una casa che è uno spazio aperto in cui aria e luce circolano liberamente e il rumore della città non entra. “Se questo luogo oggi è la mia casa è colpa della luce – racconta – una luce intensa e diretta come quella di Parigi”

Questa casa dall’aria incompiuta e imperfetta racconta molto della curiosa padrona di casa che ammette con semplicità “La mia casa è dove sono io”.

Paola Navone ha fatto della contaminazione e della stratificazione la cifra del suo lavoro e la sua casa è proprio così. Libera. Bulimica. Costituita per accumulo fantasioso di cose, ciascuna con la sua piccola storia di mondo da raccontare.

Questa è Paola: l’alternanza di pieno e vuoto, la luce che gira in libertà senza ostacoli, gli oggetti che ha recuperato e che vivono la loro seconda vita, le creazioni di alcuni designer storici oppure emergenti, i suoi progetti in continuo divenire. Rigorosa nell’imperfezione, viene da dire di lei che l’imperfezione ama, nel senso di far incontrare tante cose in una estetica originale e piena di energia.

Ci sono gli oggetti di Paola Navone designer. Il grandissimo divano Gervasoni rivestito con tessuti Rubelli. Le sedie disegnate per Crate and Barrel e i tavolini Poliform e Baxter.

Il letto della collezione Letti&Co. Ciascuno di questi oggetti rappresenta per lei un’avventura nata dal bellissimo incontro con una persona o con un maestria artigiana.

Ci sono cose arrivate in valigia da qualche meraviglioso viaggio. Splendidi esempi di no-name design che svelano la passione di Paola Navone per l’Oriente e il Sud del mondo, dove qua e là ha affondato alcune delle sue radici. Come le lampade rosse scovate in un mercato cinese e ora sospese a schiera in cucina. E la bizzarra famiglia di sedie e sgabelli arrivati in questa casa da ogni altrove.

Ci sono pezzi unici mescolati ad allegre e strabilianti collezioni di oggetti accumulate per una prassi che Paola Navone chiama “antropologia delle cose” come se fosse la sua professione. Una collezione di bellissime e panciute ceramiche del Sud della Francia. Una raccolta di utensili, allumini e oggetti per la tavola. Una collezione di ceramiche turchesi provenienti dalle fabbriche di ceramica Thailandesi raccolte da Paola per più di due anni durante i viaggi di lavoro, incastonati nel muro come un mosaico tridimensionale.

Ci sono oggetti di recupero che vivono in questa casa la loro seconda vita. Poi cose della vita di tutti i giorni camuffate dalla visionaria creatività della padrona di casa e dalla sua attitudine a trasformare tutto in qualcosa d’altro. Allora non è strano che sui tavolini Poliform siano comparsi due grandi occhi, la scala in lamiera sia dipinta a pois bianchi come una scultura africana e il prezioso lampadario blu cobalto di Barovier&Toso penda con il suo cavo rosso da un tronco sospeso.

Questa casa trasmette un’altra cosa che appartiene a Paola Navone: una speciale, verace e intima mediterraneità. Si respira perdendosi nei colori che tingono le cose. Sono i colori dell’acqua. Blu in tutte le sue sfumature. Indaco. Turchese. Verde acquamarina. Ottanio.

Si respira toccando i materiali. I sassi e le piastrelle in cemento fatti per camminarci a piedi nudi. E guardando gli oggetti ispirati al mare, primo fra tutti l’enorme pesce rosso realizzato dai ceramisti da Albissola che domina dal soppalco.

Poi c’è la cucina. Grande. Professionale. Serena. Stracolma di pentole, ciotole, contenitori attrezzi e oggetti domestici di ogni tipo e di ogni luogo. È la cucina di una padrona di casa che quando cucina, cucina davvero. Una grande libreria raccoglie di libri di cucina di ogni paese. Si sta cosi bene che viene voglia di sostare un po’.

foto(1) foto(2) foto(3) foto(4)

Il viaggio è lungo, anzi lunghissimo. Dall’aereoporto caotico di Phuket il pulmino bianco ci accoglie con l’amichevole sorriso dell’autista e benefiche bottigliette di acqua fresca e ci porta, salendo verso est, sulla penisola collinare di Cape Yamu.

Arrivare sfiniti dal viaggio può rendere cupa ogni visione ma qui non si corre certo questo rischio: quando dalla scala si intravede quel tripudio di tavoli indonesiani ricolmi di fiori e di oggetti come fosse un altare, impossibile non sentirsi attraversati da un’energia rigenerante.

E allora lo sguardo continua un viaggio instancabile: nella lobby che accoglie gli ospiti con i bianchi divani pieni di cuscini, gli angoli con piccoli tavoli di legno e poltroncine, le panche scultoree che si stagliano sul mare, la parete “pixel” fatta da migliaia di legni, le candide lampade giganti merlettate, le grandi colonne rivestite “a picassiette” che delimitano il pergolato realizzato con tegole speciali impermeabili al clima caldo umido e alle stagionali piogge della zona. Si intuisce subito che il progetto ha colto lo spirito del luogo, scegliendo materiali e inserendoli con armonia nell’ambiente naturale. Tutto è pensato per quel posto preciso e realizzato da artigiani del territorio. Sarà che su quello splendido vassoio rosso di benvenuto offerto da una sorridente fanciulla vestita di bianco, la coccarda di tuberosa appena intrecciata ci inebria col suo profumo e quella tazza di the al ginger restituisce la forza: il desiderio è quello di continuare il viaggio in questo spazio speciale.

Como Hotels e Resorts di Singapore è il brand di Cristina Ong che ha chiesto a Paola Navone di progettare interamente l’interior design su una struttura architettonica preesistente abbastanza inquietante e rigida per quel luogo. E che lei, accettando con entusiasmo, ha realizzato in due anni con un lavoro appassionato di ricerca e progettazione di ogni dettaglio insieme al suo team. Da alcune finezze architettoniche ai cucchiai, dai tessuti a tutti gli arredi, dai piatti alle lampade, dal decoro grafico dei tetti che si vedono dalle finestre al rivestimento di bambù dipinto di bianco degli ascensori, in un mix con oggetti di produzione da lei disegnati e con altri di antiquariato e artigianato locale.

L’attenzione a ogni particolare che si percepisce vivendo a Point Yamu è qualcosa che si svela straordinario, qualcosa che si potrebbe definire “pedagogico”, da cui tutti possono imparare, come una sensibilità da acquisire nella vita di tutti i giorni: proprio a questo servono i bravi designer. Mai come in questo caso però è restrittivo definire designer Paola Navone. Lei in questo lavoro è, più che in ogni altro, una specie di sacerdotessa dell’abitare, colei che interagisce con successo con i bisogni di chi vive quegli spazi, cercando di rispondere ad ogni possibile richiesta, anche quelle che non si manifestano consapevolmente.

Percorrendo il corridoio di foglie di bambù intrecciate che creano un tunnel – luminoso e solare – in fondo al quale un punto o un cerchio rosso orienta il cammino, le 106 camere, distribuite sui 3 piani delle parti laterali dell’edificio, ognuna col suo numero in ceramica crackle, la lampada speciale a bulbo di Nacho Carbonell e l’immancabile ciotola in alluminio decorato in cui galleggiano i fiori, si affacciano come ospiti festosi che danno il loro benvenuto.

Le camere, suddivise in tre colori – turchese, lavanda e blu (solo la suite presidenziale è bianca) – che ricorrono nei tessuti, nelle piastrelle e negli accessori, sono grandi e luminose, con i pavimenti di cementine bianche e grigie tipiche del luogo. Tutte con un bagno da sogno dove la vasca rotonda naviga in un acquario rivestito con le ceramiche artigianali colorate nelle tre tonalità, un salottino con divano, un tavolino basso, una consolle e un mobile-credenza, un letto grande e comodissimo in legno e/o in tessuto, un armadio ultracomfort, e poi lampade, ceramiche. Mixati ogni volta in modo diverso così che ogni stanza sia sempre un po’ unica e speciale. E tutte si affacciano su un terrazzo privato dotato di almeno una coppia di dormeuse da esterno con un tavolino, alcune con piscina privata. Dal terrazzo, a 360 gradi, si ammirano le isole Andatane, una natura rigogliosa e un mare di un azzurro potente: una vista che lascia incantati.

Se poi si prosegue il viaggio verso le aree comuni: nella scintillante e immacolata Private Dining Room con la sua porta rosso lacca e l’antica mano gigante di una statua che funge da maniglia, nei ristoranti (quello turchese e grigio italiano “La Sirena” con la lunga parete con centinaia di piatti bianchi, e quello rosso e oro Thai “Nahmyaa” con i grandi pesci rossi realizzati con il mosaico), in altri corridoi dove la progettista ha giocato con materiali diversi che diventano muraglie che si intersecano e si fronteggiano (di ceramica smaltata, di scaglie di legno invecchiato, di sassi, di cementine), nell’Aqua Bar con la scultura aerea sul bancone, nella Tea Room della Lobby con il decoro a scritte thai sul soffitto, nei salottini (persino le aree tecniche antincendio sono decorate con tende di fiori o grafiche), nei pergolati, nei percorsi con l’acqua che riecheggiano lidi veneziani, nelle scale che ritmano e scaldano le alte mura grigio verdi, si arriva al “fuoco”, al centro del Resort ovvero la COMO Shambhala Retreat Spa e, sotto di essa, la piscina, lunga 100 metri, che sembra finire tra il cielo e il mare. Perfino gli ombrelloni che circondano la piscina sono stati punto di attenzione, portati come sono in spalla da meravigliosi allegri elefantini, e, con lo sguardo verso la piscina all’orizzonte, un cubo di sassi sembra emergere come l’isola che non c’è. Sembra che la visione sia calibrata su pieni e vuoti, su grigi e azzurri, su texture di materiali diversi, su piante verdi già cariche di fiori che cresceranno rigogliose e si arrampicheranno sulla lamiera a larghe maglie colorata in verde che riveste la struttura, raccordando così l’architettura all’ambiente.

Paola Navone ci comunica tutta la sua idea di bellezza: la semplicità prima di tutto, il piacere di vedere ed usare le cose che hanno attraversato secoli e continenti, il fascino intenso e commovente delle forme imperfette di quando gli oggetti sono fatti a mano.

Ogni spazio merita una descrizione per la ricchezza dei dettagli: tutto ha un senso, tutto ha una storia, tutto è curato, tutto ha un legame col territorio. Ecco, anche per questo senso di cura, di amore, di attenzione, la Spa Shambhala diventa il fulcro del progetto: entrarci, indossare la mise bianca che viene offerta, entrare con le ciabattine candide nelle stanze dedicate ai trattamenti o a piedi nudi nella grande stanza dei massaggi thai col pavimento in teak circondata e attraversata dai ricchi tendaggi di lino bianchissimo, osservare la luce filtrata dagli screen intrecciati delle grandi finestre, sedere sulle poltrone delle aree in ceramica turchese intenso, con un profumo che vorresti interiorizzare e portare sempre con te, ci fa sentire al centro della cura, al centro di un mondo da abitare, anche solo per pochi giorni.

Lilli Bacci

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: