Fino al 1987 non c’era mai stata alcuna relazione, nei servizi fotografici, tra la moda e il design sebbene fossero sin da allora due -come si usa dire- “eccellenze” italiane che in quel periodo erano in grande espansione. Ebbene, da una “geniale intuizione” – sono le parole stesse di Gastel- di Gisella Borioli (direttore allora di Donna magazine), arriva il primo tentativo di unire la moda e il design italiani in uno shooting. Nasce così il servizio, di Micaela Sessa da lui fotografato: “Le stanze del colore”.

Passaggio fondamentale, storico potremmo dire, forse ignorato in quegli anni: quello di fare ciò che da lì nel giro al massimo di un decennio, sarebbe diventato imprescindibile per gli stessi stilisti che andranno ad occuparsi anche del design con collezioni da loro stessi firmate.

Nel 1993-1994, grazie alla lungimiranza creativa di Renata Prevost Art Director della Garage Comunicazione e di quella imprenditoriale di Claudio Luti (che non a caso proveniva da Versace) di Kartell, Gastel viene chiamato a fotografare il nuovo catalogo prodotti. Per la prima volta un fotografo di moda è chiamato a realizzare un catalogo di design. Di questa esperienza posso parlare in prima persona perché di quel catalogo sono stata location manager e coordinatrice dei set .

Giovanni Gastel aspettava, osservava in silenzio e poi con un tocco leggero ma deciso, agiva. Quasi un processo junghiano di immaginazione attiva, di cui diveniva immediatamente consapevole. E lo faceva in modo tutto suo, un modo che all’improvviso apriva squarci, anche quando pareva ci fosse solo buio. Si trattava di squarci per lo più poetici, mentali, era quella la luce: quella della poesia che si faceva largo nelle sale vuote e rimbombanti di ville, di manifatture, di centrali termoidrauliche o negli androni decadenti ma fascinosi industriali o urbani che faticosamente avevo cercato.

Ricordo con gratitudine questo di quel bellissimo lavoro che ci fece incontrare -felicemente incontrare- per realizzare qualcosa che per quei tempi era inedito e rivoluzionario nel mondo del design: per la prima volta un fotografo di moda “trattava” gli accessori di design come fossero gli abiti di una modella. Ma “il punto” non era questo. Il punto era il suo metodo. A volte in quelle location inusuali eravamo sopraffatti dai luoghi, dai vuoti, o dai troppo pieni, da quegli oggetti che piccoli navigavano in quegli spazi spesso immensi. Lui arrivava e davvero con il suo colpo di genio risolveva l’immagine creando fantastici scenari onirici, come -prima tra tutte- la meravigliosa Chioma di Berenice che vedemmo formarsi davanti ai nostri occhi di fronte alla libreria rossa Bookworm di Ron Arad fantasiosamente montata su una parete bianca, con la modella dai capelli rossi a cui Gastel chiese di indossare un drappo di tessuto rosso. Una foto diventata iconica.

La prima immagine di quel catalogo che fu realizzata me la ricordo quasi con commozione, e se la guardo ancora riesce a farlo, non solo perché fu la prima e che spiega quello che dicevo all’inizio del modo di lavorare di Gastel sull’improvviso colpo di genio poetico. Eravamo nel salottino adiacente le scale, con quel senso un po’ sconsolato del primo giorno di shooting quando la fase organizzativa ha la prevalenza e non si riesce tanto ad ingranare. Lui si alzò pregandoci di prendere le scalette Tiramisù, tutte quelle nere che erano arrivate, si guardò intorno, ci disse di posizionarle sulla scala, fece vestire da Pina Gandolfi, la stylist che lavorò con noi, la modella di nero come le scalette e la fece mettere anche lei lì e così come se la forza di un pensiero soprannaturale piegasse la scaletta fece il movimento delle Tiramisù…

Ma spiega anche qualcosa di molto più profondo che Giovanni Gastel sosteneva, ossia che ognuno è un essere unico, e che “la fotografia è fatta da spirito ed intensità della seduzione”, che non è solo verso un uomo o una donna, ma tra un uomo e un oggetto, tra un uomo e la natura.

Non è forse una immagine di seduzione questa?

Così come estremamente seduttive sono le immagini scattate al quartiere Gallaratese al “Monte Amiata” il condominio rosso e giallo di Aldo Rossi, che scegliemmo per ambientare i tavolini e le sedie di Starck.

Un metodo -dicevamo- che unisce in un processo rapido osservazione/creazione/consapevolezza offrendo un prodotto finale che grazie a questa “centrifuga” restituisce un valore in più, che è quello che qui intendo per poesia e seduzione. Credo che questo sia valido per ogni lavoro che Gastel affrontava, fosse moda, design, ritratto. È stato un privilegio poter vedere questo con i propri occhi.

E comunque Design e Moda si confondono, si mescolano, così come nella vita, nel nostro quotidiano, nel nostro vivere la città e la casa. Nel nostro essere noi stessi, quello a cui Gastel teneva più di ogni cosa.

Elle Decor Magazine

Il percorso di Gastel non si è più fermato in questo senso e anzi ultimamente lo hanno visto protagonista importanti campagne stampa e cataloghi di aziende di design e memorabili servizi per riviste di settore. A noi piace ricordare qui i servizi realizzati con Elisa Ossino per Elle Decor dove al rigore progettuale e alla ricerca di Elisa Ossino e del suo studio, si è unita la visione speciale di Giovanni Gastel, la sua raffinatezza, la sua regia gentile, il suo senso del colore e della luce, la sua cultura, la sua conoscenza dell’arte e la sua consapevolezza delle cose.

Elle Decor Magazine “Ritratti di Living” Servizio di Elisa Ossino: un inaspettata rivisitazione dello stile di Hopper per descrivere stanze dedicate al relax. Visioni di interni in dialogo con l’esterno, dove i protagonisti sono mobili di design sia nuovi che classici.

Nel 2010 ha collaborato con Slide ritraendo loro best seller come la poltrona Low Lita di Paola Navone, il divano Rap e la poltrona a dondolo Blos di Karim Rashid. Sono prodotti che Gastel ha trattato proprio come ritratti, su fondo nero, con le luci che riflettono le curve e i materiali. Nessuna ironia per oggetti che già giocano per conto loro, piuttosto paiono osservati con una serietà e una attenzione che non gli è mai stata prestata.

 

Sfogliando il catalogo Venezia di Rubelli -concepito come una rivista con vari servizi realizzati da stylist e fotografi diversi- ad un certo punto sembra di essere capitati da un’altra parte, e non solo per gli scatti “moda” per il prodotto Colours con l’inseparabile Micaela Sessa dove è inserita anche una poesia di Giovanni Gastel: “Se lo splendore /di questo tessuto/fosse lo specchio/della tua anima/amore/ora potrei illuminarmi/della tua luce argentata.” Ma perché c’è una vivacità, una ironia, un gusto grafico e una eleganza che dona una vitalità speciale a tutto il progetto nel suo insieme.

Per Artemide nel 2019 lavora con Luca Stoppini su un doppio binario: per il catalogo con foto bellissime di prodotto e per la campagna stampa ambientando le lampade in situazioni di giovani della iGeneration, nativi digitali, tecnologici, sostenibili, multiculturali con una visione globale (la campagna del brand era denominata GenerAction). Protagonisti reali, giovani talenti che l’azienda ha deciso di aiutare negli studi e nei progetti di ricerca.

 

La campagna stampa di Edra, sempre nel 2019, vede la raffinata modella Leticia Herrera, che ripete la sua immagine in diverse posizioni sui vari prodotti scelti in modo tale da esprimere con la sua grazia ed eleganza le infinite declinazioni del comfort: Gastel moltiplica questo concetto e pone sempre al centro un dettaglio importante, lo riquadra come per farci toccare l’essenza e la qualità della collezione. Lo spazio è smaterializzato, è uno sfondo neutro, a dimostrare che Edra non è un solo stile e i prodotti entrano con naturalezza in ogni ambiente.

La scelta è stata il bianco e nero: l’immagine fotografica nella sua purezza e potenza visiva, per creare una identità forte a cui il brand risponde e continua ad aspirare.

Mirabile la campagna per Living Divani realizzata con Elisa Ossino e lo studio Lissoni,: divani come icone atemporali che fluttuano in uno spazio rarefatto. “Volevo renderli eterni” ha dichiarato Gastel in una intervista.

Nel frattempo per Poltrona Frau ha realizzato una campagna stampa che vedeva le sedie e le storiche poltrone dell’azienda di Tolentino ambientate in antichi palazzi e ville strepitose ma fotografate da sole, come protagoniste indiscusse su uno speciale ed esclusivo palcoscenico ma nel contempo, quasi a equilibrare la distanza che poneva questi prodotti quasi irraggiungibili dall’uomo, firmava un libro e un filmato intitolato “L’intelligenza delle mani” dove l’artigianalità, il saper fare, la relazione tra chi lavora insieme quindi anche gli sguardi, i gesti, i valori tornavano importanti da esaltare. Perché Gastel cercava questo anche nelle cose, cercava l’anima, cercava la vita.

 

E anche raccontava la sua malinconia, la sua nostalgia per le cose e infatti amava molto uno scritto di Ettore Sottsass tratto da “Rovine” del 1992 che diceva: “Quello che ci rimane da vedere, forse, è il passaggio di una nuova nostalgia, tra le tante che ci inseguono, una nostalgia tutta speciale, quella strana, penetrante, onnipresente, permanente, ossessiva nostalgia che è la nostalgia per l’Enigma, l’unica finale attrazione d’amore. Quando guardiamo il paesaggio dei ruderi depositati nel passato, quando attraversiamo i paesaggi delle città sepolte nei deserti, i paesaggi dei templi stritolati dalle foreste, i paesaggi delle pitture immobili, nelle penombre dei musei, noi che viviamo ora, nel tempo presente, non potremo riconoscere altro che una impietosa nostalgia, non potremo riconoscere altro che memorie sospese. Quello che noi, noi stessi possiamo riconoscere o forse soltanto ricordare è che tra la nostra vita pulsante, tra la consapevolezza acuta dell’esistenza, tra gli orgasmi vitali e il tempo, lo spessore si fa sempre più sottile, orribilmente sottile, com’è sottile, orribilmente sottile e sempre pronto a lacerarsi, lo spessore tra un amore che c’è, che teniamo tra le mani, con il quale viviamo ora la sua memoria. Viviamo il presente dentro a milioni di memorie, dentro a una sauna di nostalgie, inorriditi per come è sottile il tempo, per quanto poco è il tempo che riusciamo ad usare, quello di cui riusciamo ad avere consapevolezza.”

Ettore Sottsass diceva che il design è un modo di discutere la vita e di costruire una metafora della vita. Giovanni Gastel sosteneva che i volti delle persone donano il senso della vita. Sottsass e Gastel si incontravano ogni estate a Filicudi, isola amata dove erano vicini di casa.

Due giganti di cui noi avremo sempre nostalgia.

Ettore Sottsass fotografato da Giovanni Gastel